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Giro d’Italia 2015 - Appenini, Alpi e una lunga crono

Lasciata alle spalle la stagione delle classiche del nord, inizia il periodo di quelle che Gianni Mura chiama le “chansons des gests” dell’era moderna: sono i grandi Giri ciclistici, vere e proprie saghe del giorno d’oggi.
Come da vent’anni a questa parte, dopo che la Vuelta e Espana è stata spostata a agosto e settembre, si inizia con il Giro d’Italia.


Dopo la partenza irlandese del 2014, quest’anno si inizia con una quttro-giorni nella nostrana Liguria, dal Ponente al Levante. Il via da Sanremo a Sanremo, con una cronometro a squadre di 17 km intorno sulla pista ciclabile della Riviera dei Fiori. Un ottimo modo di avvicinare la pratica agonistica alla quotidianità dello spettatore e di sponsorizzare, tramite il ciclismo professionistico, certe infrastrutture civili che rendono migliori le nostra città.
Si prosegue con la Albenga – Genova, per velocisti (lo strappo di Prato Zanino a 50 km dall’arrivo assegnerà la prima maglia azzurra). Ben più interessante la terza tappa da Rapallo a Sestri Levante, con la prima parte che sale e scende (ma soprattutto sale) e l’ascesa di Barbagelata, difficile sia in salita che in discesa; gli ultimi 25 km sono l’unica pianura che si incontra in giornata. Una tappa di difficile interpretazione, che se affrontata con il coltello tra i denti può anche causare il ritardo di qualche big della generale.

Anche la successiva Chiavari-La Spezia non conosce la pianura. La salita di Biassa nel finale sarà trampolino per uomini da classiche, come Philippe Gilbert che torna al Giro d’Italia a sei anni di distanza.
Quindi, finalmente, spazio ai velocisti? Assolutamente no. La quinta tappa arriva all’Abetone, sulla salita che lanciò verso la vittoria finale il ventenne Fausto Coppi, partito come gregario di Gino Bartali nella Legnano del 1940. Salita ormai non troppo impegnativa, ma si verrà da due giorni dispendiosi. Vedremo chi succederà a Francesco Casagrande, che qui vinse nel 2000: potrebbe essere chi tiene sa tenere in salita ed è dotato di uno spiccato spunto veloce (Diego Ulissi profeta in patria? Vedremo se la gamba inizierà a girare a dovere dopo il rientro al Giro dei Paesi Baschi).
Quindi finalmente una frazione per gli sprinter da Montecatini terme a Castiglione della Pescaia, nella verdissima Maremma grossetana. C’è pianura da Montecatini a Saline di Volterra, poi un tratto mosso sulle Colline Metallifere, infine altri 40 km piatti fino all’arrivo. Non ci saranno sorprese.

La prima settimana si chiude con la Grosseto-Fiuggi, dove lo strappo finale potrebbe favorire sprinter con attitudini alla salita, o corridori poliedrici che sanno anticipare il rush finale.
L’8° tappa propone un secondo arrivo in quota sugli Appennini, a Campitello Matese, un “must” degli anni ’80 e dei primi anni ’90, da tempo assente. Anche questa è una salita dove si sta bene a ruota, quindi non ci saranno sostanziali differenze tra chi ambisce ai piani altissimi della generale.

Ben più insidiosa è la tappa successiva, nel Sannio, da Benevento a San Giorgio, con un continuo saliscendi con poca pianura: come a La Spezia, largo alla fantasia e alle imboscate.
L’anno scorso abbiamo scritto che, quando la corsa parte dall’estero, la regola è che a farne le spese è il Sud Italia (oltre che le isole). Stavolta che si parte dall’Italia… il meridione è ugualmente tagliato fuori. E questa è la grande pecca di un Giro complessivamente ben disegnato. La speranza è che il prossima anno, le regioni del mezzogiorno siano trattate con i guanti bianchi, magari – perché no? – replicando la scelta del 2009, quando furono messe le Alpi all’inizio e la corsa rosa fu decisa nel finale sugli Appennini. Un po’ come usa in Francia, dove alternano di anno in anno l’ordine di Alpi e Pirenei.
Dicevamo, quindi, la 10° tappa risale verso nord la costa adriatica, fino a Forlì, e sarà volata sicura.
L’11° frazione è un altro inno alle salitelle dei preappennini, in terra emiliana. Un po’ più facile delle precedenti, potrebbe favorire la fuga da lontano con esito positivo.

Poi arrivi a Vicenza, sullo strappo del Monte Berico, e a Jesolo, dopo una frazione interamente pianeggiante lungo la pianura padana. Quindi, si comincia a far davvero sul serio.

La 14° tappa, ad una settimana dalla fine, è l’unica crono individuale dell’intero Giro, la Treviso-Valdobbiadene, 60 km di lunghezza, roba da Tour degli anni ’90. I primi 30 km sono per specialisti, con rettilinei pianeggianti; gli altri 30 sono più mossi, e dovrebbero aiutare gli scalatori a “proteggersi”. In questo esercizio sfiancante fisicamente e psicologicamente, Rigoberto Uran potrebbe fare meglio di altri, come anche Domenico Pozzovivo, che negli ultimi due anni è molto migliorato in questa disciplina. Certamente, la classifica della sera sarà radicalmente diversa da quella del mattino.
Il giorno dopo, iniziano le montagne, a dir la verità in modo soft. Si arriva a Madonna di Campiglio, e i ricordi vanno purtroppo a quel tristissimo Giro del 1999, quando uno stratosferico Pantani staccò tutti prima che il mondo crollasse sopra di lui. In realtà, la salita è semplice, basti pensare che al Giro di Polonia del 2013 (iniziato in Trentino per motivi di sponsor) Diego Ulissi regolò allo sprint un nutrito gruppo di contendenti.
Ben più dura la frazione del martedì, secondo snodo cruciale dopo il secondo giorno di riposo. Campo Carlo Magno, Tonale e un primo passaggio all’Aprica fanno da antipasto al piatto forte del giorno: il Passo del Mortirolo. Come da tradizione, si affronta dal versante nobile di Mazzo, pendenze tra il 9% e il 18%, per un 10-11% medio: non serve dire altro. La discesa verso Edolo prepara ad una nuova scalata dell’Aprica – un semplice falsopiano: chi avrà le gambe in croce, perderà altro terreno.
Gli arrivi di Lugano e Verbania si prestano alle fughe, anche perché i big si risparmieranno in vista dei due giorni decisivi per stabilire in vincitore finale.

La tappa 19 è una cavalcata valdostana da Gravellona Toce a Cervinia. Molto fondovalle piemontese, poi il Col de Saint-Barhlemy e il Col Saint-Pantaléon preparano all’arrivo in salita di Cervinia, una ventina di chilometri tra il 6e l’8% con alcune spianate. Nel 1997 bastò a Ivan Gotti per strappare la maglia rosa a Tonkov. Tuttavia, anche stavolta la fuga in porto non è da escludere, visto che il giorno dopo ci sarà il terzo appuntamento clou della corsa.
Infatti, al penultimo giorno di corsa, la tappa-verità dovrebbe essere quella con arrivo al Sestriere, dove Fabio Aru ha fatto tanta altura nei mesi precedenti. In verità, si parte con ulteriore pianura piemontese, si sfiora Torino e si va verso Susa. Qui, si affronta la Cima Coppi, cioè il Colle delle Finestre, 18,5 km costantemente intorno al 9% di pendenza, divisi tra asfalto e sterrato fino agli oltre 2.100 metri di quota. In pratica, il giudice finale dell’edizione 2015, come lo fu giusto dieci anni quando un magistrale Savoldelli si difese con intelligenza esemplare dagli attacchi di Simoni e Di Luca. Il Sestriere – sede di arrivo – probabilmente ratificherà la il verdetto emesso sulla precedente ascesa
Quindi, da Torino a Milano, la passerella per gli sprinter superstiti che prepareranno la festa finale.

"Sprinter - Rubrica a cura di Marco Bottai"

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Giro d’Italia 2015 - Appenini, Alpi e una lunga crono Reviewed by ciclismonelcuore on 18:12 Rating: 5
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